Il Parmigianino, la camera di Diana e Atteone e la regina Elisabetta I

Ho già scritto un articolo sul Parmigianino e sui misteri dell’alchimia nei suoi dipinti e l’affresco della camera di Atteone e Diana della Rocca Sanvitale di Fontanellato, in Provincia di Parma, è un esempio.

Io visitai la rocca, quando ero alle scuole elementari.

Ricordo che rimasi impressionato per giorni da quell’opera.

Sono una persona che “sente quasi nella carne” il “messaggio” che le arriva dalle opere d’arte.

Fatta questa digressione personale, torno al tema.

A Fontanellato operò il pittore Girolamo Francesco Mazzola, detto Parmigianino (11 gennaio 1503-24 agosto 1540).

Nato a Parma da una famiglia anticamente originaria di Pontremoli (in Provincia di Massa Carrara) il Parmigianino fu un esponente molto importante della pittura emiliana del XVI secolo.

Il Parmigianino e la stanza di Diana e Atteone

Intorno al 1524, egli dipinse una delle sale più note della rocca di Fontanellato: la Stufetta di Diana ed Atteone.

Il ciclo pittorico racconta il mito della Metamorfosi di Ovidio e in particolare la trasformazione di Atteone in cervo ad opera della dea Diana.

Il Parmigianino fu un pittore legato al mondo alchemico ed esoterico.

Egli realizzò il noto ciclo pittorico nel 1524, sotto il ducato di Galeazzo Sanvitale e della di lui moglie Paola Gonzaga, figlia di Ludovico, marchese di Sabbioneta.

Quel periodo fu turbolento.

Nel 1522, i Francesi furono cacciati dal Ducato di Milano, del quale Piacenza e Parma erano parte.

Così, Parma tornò sotto il controllo dello Stato Pontificio.

Galeazzo era colonnello del re di Francia e ciò non depose a suo favore.

Egli e la moglie vissero il dramma della morte dell’ultimo figlio maschio, a pochi giorni dalla nascita.

Qualche mese dopo la morte del bambino, la coppia incaricò il Parmigianino di affrescare una piccola stanza priva di finestre.

Il pittore scelse di usare il tema della Metamorfosi di Ovidio.

L’affresco fu eseguito in modo tale da riportare tutte le scene in sequenza.

Così, si vede Atteone che sorprende la dea Diana nell’atto di farsi un bagno, la dea che (irritata) lo spruzza con dell’acqua, il giovane cacciatore che inizia a tramutarsi in cervo e i cani che lo sbranano.

Il significato dell’opera

Si tratta di un’opera dal carattere cristiano, se pur implicito, per via del tema del sacrificio, ma ha anche un carattere alchemico-esoterico.

Dunque, quella stanzetta priva di finestre potrebbe essere stata un angolo di meditazione per quei due coniugi disperati.

La metamorfosi di Atteone potrebbe stare ad indicare la trasformazione della materia, quella legge due secoli dopo fu codificata dal chimico Antoine Lavoisier secondo il principio che ancora oggi recita: “Nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma“.

Si tratta di un principio che conosco, avendo studiato chimica.

Gli alchimisti usavano indicare i processi alchemici con la mitologia greca e romana.

Anche in questo caso vi è un rimando “cristiano”, circa l’immortalità dell’anima,

I nobili del XVI secolo e l’esoterismo

Tanti nobili del XVI secolo si interessavano di alchimia e di esoterismo.

Penso al duca di Mantova Vincenzo I, all’imperatore del Sacro Romano Impero Rodolfo II e alla regina Elisabetta I.

Proprio la regina inglese ebbe un particolare interesse per la materia.

Persino la sua incoronazione, avvenuta il 15 gennaio 1559, non fu casuale.

Infatti, ella seguì il consiglio del suo astrologo John Dee (1527-1608 o 1609).

Dee collaborò col medico, chimico e astrologo italiano Girolamo Cardano (1501-1576).

Una considerazione finale

Al di là di tutto, una considerazione deve essere fatta.

Molti nobili del XVI secolo coltivavano un interesse per l’alchimia e per l’esoterismo per una volontà di conoscenza e per curiosità.

Opere d’arte come quella menzionata in codesto articolo sono la dimostrazione di ciò.

Il buon Dio ci diede l’intelligenza e la libertà.

Il miglior modo per rendere onore a Dio e a ciò che Egli fece per noi è quello di usare questi suoi doni, ovviamente non per fini malvagi.

Dunque, essere curiosi e non limitarsi ad ascoltare ciò che viene somministrato dall’alto è una qualità.

Anche grandi santi e pensatori cristiani fecero ciò, dando un grande contributo alla Chiesa e all’umanità.

Penso, per esempio, a Sant’Agostino d’Ippona, ai padri cappadoci, a Sant’Alberto Magno, a Giovanni Duns Scoto e a San Tommaso d’Aquino.

Personaggi come quelli da me citati conoscevano le Scritture ma studiavano anche opere come quelle di Aristotele e di Platone.

Gli apologeti del Cristianesimo nell’Impero Romano nacquero nei ceti culturalmente più facoltosi.

Sant’Alberto Magno fu anche un alchimista.

Penso anche ai grandi poeti cristiani, come Jacopone da Todi (1236-25 dicembre 1306).

Questo smentisce una certa visione del Cristianesimo che ritiene contrario alle Scritture (e quindi a Dio) ciò che esse non menzionano esplicitamente.

A buon intenditor…vanno poche parole.

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