San Giacomo e Galati Mamertino, una festa tra leggenda e devozione

San Giacomo

Domani, gli amici di Galati Mamertino (in Provincia di Messina) festeggeranno San Giacomo Maggiore Apostolo, il santo patrono locale.

Sebbene io abiti in Provincia di Mantova, precisamente, a Roncoferraro, questa festa per me ha un certo “sapore”.

Purtroppo, quest’anno sarà un po’ più triste, per la scomparsa di mia madre, la quale si chiamava Giacomina, per un voto fatto dai miei nonni al santo.

La festa in questione affonda le sue radici in una devozione popolare molto forte.

Il libro scritto da Nina Giardinieri ed intitolato “E il palazzo bruciò” parla della devozione dei galatesi a San Giacomo Maggiore apostolo.

Ne parla, citando anche una leggenda così interessante che l’ho proposta in uno dei miei articoli per la rivista “La Civetta”, il giornale dell’Associazione Culturale “Pensiero e Tradizione” di Mantova.

L’avevo proposta per una rubrica intitolata “Scorci di Sicilia” ma alla fine si farà una monografia vera e propria.

La storia raccontata nel libro della signora Giardinieri, della quale la buonanima di mia madre era figlioccia, parla di alcuni notabili del popolo che si recarono dal signorotto di Galati Mamertino, il principe che essi chiamavano “lustrissimo”.

Essi chiesero al principe un santo patrono.

La chiesa madre, dedicata a Santa Maria Assunta, era fatta ma mancava il santo patrono.

Così, dopo avere sfogliato un grosso libro, probabilmente pieno di racconti agiografici, il principe individuò in San Giacomo il santo giusto per il popolo.

Il principe fece della raccomandazioni circa la devozione che si deve dare ai santi patroni.

Si debbono fare per questi ultimi grandi feste.

Così, fu fatta la bella statua che si vede oggi.

Quando la statua arrivò a Galati Mamertino fu fatta una grande festa e tutti gridavano: “E gridamu tutti: A razia di San Japicu di Jalati!“.

Il santo fece molte grazie al popolo.

Quando vi erano le intemperie, la statua veniva portata fuori, come fu decretato da norma.

Così, sempre secondo una norma, santo veniva portato per tre volte in processione.

Tuttavia, il con il passare del tempo, la devozione scemò.

Ci fu chi non volle più portare la statua del santo, per via della sua pesantezza.

Così, dovettero levare la bella vara che l’adornava.

Una, però, mastro Turi, il sagrestano, entrò nella chiesa madre.

Vide che mancava qualcosa.

Quel qualcosa era la statua del santo.

Cominciò a pensare ad un furto e chiamò il parroco.

L’arciprete, il parroco, accorse e vide l’accaduto.

Aveva paura di dirlo ai paesani.

Ad un certo punto, una donna entrò in chiesa correndo quasi convulsa.

La donna affermò di avere visto la statua.

L’arciprete le chiese se avesse visto i ladri.

Qui si entra nella leggenda: la donna rispose di avere la statua camminare da sé.

Disse di averlo visto verso la Sciara, una zona che per altro conosco.

Mastro Turi suonò le campane ed il popolo andò alla ricerca di San Giacomo e lo videro in una zona chiamata “u Ciappazzu”, sotto le mura dell’antico castello.

La gente vide veramente il santo camminare.

Così, si mise ad urlare: “Razia San Japicu!“.

Lo stesso fece il parroco, il quale era alla testa della folla.

Il santo sembrava non volere sentire ragione.

Sicché, quando il santo stava svoltando l’angolo, il parroco urlò: “Fermati, Giacomo, in nome del Signore Gesù!“.

Il santo si fermò.

Del resto, i preti agiscono “in persona Christi“, a differenza dei diaconi.

Lo dice il diritto canonico.

Così, San Giacomo rimase a Galati Mamertino.

Io penso che questa leggenda ci debba insegnare il valore della gratitudine, un valore che troppo spesso è ignorato, specialmente in questi tempi.

Comunque, auguro agli amici galatesi una buona festa di San Giacomo.

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