Il Domenichino e Napoli: l’arte e l’angustia

Domenichino

Un artista di cui avrei voluto scrivere è il famoso pittore del XVII secolo Domenico Zampieri, detto il Domenichino.

Ricordo di avere visto una trasmissione televisiva promossa dal Gruppo Autostrade per l’Italia su Sky, una rubrica dedicata alle meraviglie d’Italia e parlava proprio di Napoli e delle opere del Domenichino.

Nato a Bologna, il 21 ottobre 1581, il Domenichino fu un fautore del classicismo.

Oggi è il giorno di San Gennaro, patrono di Napoli.

Ebbene, racconto un po’ il periodo napoletano del pittore bolognese.

Prima di giungere a Napoli, egli operò a Roma, a Palermo e in altre città.

Il periodo napoletano fu il suo ultimo periodo.

Il 23 marzo 1630, il pittore emiliano accettò l’ingaggio da parte della Deputazione della Cappella del Tesoro del duomo di Napoli.

Egli giunse nella città partenopea solo nel mese di giugno, perché doveva finire gli affreschi della chiesa romana di San Carlo ai Catinari.

Purtroppo, la sua avventura napoletana iniziò male.

Infatti, per motivi di interesse, il viceré di Napoli non lo apprezzò.

Inoltre, ebbe anche dei problemi con dei pittori locali, come Belisario Corenzio e Battistello Caracciolo, e il pittore spagnolo Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto.

Anche i familiari lo angustiarono, sempre per motivi di interesse.

Così, nell’estate del 1634, il Domenichino lasciò Napoli e andò a Frascati.

Tuttavia, i Deputati della Cappella del Tesoro non vollero rinunciare al suo talento e arrivarono a fare sequestrare sua moglie e sua figlia che rimasero a Napoli.

Di conseguenza, all’inizio dell’anno successivo, il Domenichino tornò a Napoli.

Egli ricevette il giusto pagamento nel 1637 per nove affreschi della cappella.

Il primo novembre dello stesso anno, in una lettera a Francesco Albani, il pittore spiegò gli intenti simbolici della Madonna del Rosario

Nel 1638, egli iniziò a dipingere la cupola della cappella e lo fece riprendendo il suo lavoro fatto nella chiesa di Sant’Andrea della Valle di Roma.

Nel 1640, ci fu un altro pagamento per l’affresco raffigurante il martirio di San Gennaro ma il Domenichino non poté portare avanti l’opera.

Completò gli affreschi dei quattro pennacchi della cupola ma non poté andare avanti.

Il 3 aprile 1641, il pittore fece testamento e morì tre giorni dopo.

Probabilmente, fu avvelenato dal alcuni pittori locali della Cabala.

La cupola fu affrescata da Giovanni Lanfranco, un altro pittore emiliano.

Così, la città di Napoli fu la città del “canto del cigno” del pittore.

Egli fu visto come uno straniero e perciò si trovò di fronte a colleghi che lo avversarono e forse lo uccisero.

Però, le sue opere rimasero e ancora oggi si possono vedere.

Dunque, la sua arte è ancora tra noi.

Termino, augurando buon onomastico a tutti coloro che si chiamano Gennaro.

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