Tolkien, un visionario o un “profeta”?

Tolkien

A proposito di “scherzi del destino“, sapevate che io nacqui nello stesso giorno in cui nacque John Ronald Reuel Tolkien?

Infatti, il noto scrittore inglese nacque nella città sudafricana di Bloemfontein il 3 gennaio 1892.

Morì il 2 settembre 1973 a Bournemoth.

L’autore di saghe come “Lo Hobbit” e “Il Signore degli Anelli” fu appassionato di botanica, oltre ad essere stato un linguista e glottologo.

Tuttavia, Tolkien era un cattolico devoto.

In una lettera del 1965 a suo figlio Michael, Tolkien così avrebbe rievocato le memorie di quello che avrebbe sempre ricordato come “Padre Francis”:

Era un tory gallese-spagnolo dell’alta borghesia e ad alcuni sembrava solo un vecchio vasaio prodigo di pettegolezzi. Lo era… e non lo era. Da lui ho imparato dapprima la carità e il perdono; e alla luce di queste virtù ho trafitto anche l’oscurità “liberale” da cui sono uscito, a causa della quale avevo più conoscenze su “Bloody Mary” che non sulla Madre di Gesù, che non è mai stata menzionata se non come oggetto di malvagio culto da parte dei romanisti“.

I “romanisti” non erano i tifosi della Roma ma i cattolici inglesi così chiamati dispregiativamente dai connazionali anglicani e protestanti.

Ora, faccio una riflessione proprio sull’aspetto religioso di Tolkien.

Egli era un cattolico devoto, un cattolico conservatore.

Guardò con una certa diffidenza certe aperture del Concilio Vaticano II.

Per certi versi, visse quella crisi che ci fu negli anni ’60 e ’70.

Addirittura, Tolkien non amava molto la liturgia in lingua nazionale e continuava a parlare rumorosamente in latino durante le messe.

Ora, mi sovviene questa domanda: Tolkien fu un visionario o un “profeta”?

Con serenità, io rispondo affermando che egli fu un “profeta” del XX secolo.

Infatti, l’abbandono totale del latino nelle liturgie portò ad un aumento dell’ignoranza sia tra i fedeli laici che tra molti membri del clero.

Questi ultimi iniziarono a celebrare la messa anche secondo il loro pensiero.

Questa ignoranza generò anche molti abusi liturgici.

Nel 2007, Papa Benedetto XVI cercò di riportare in auge la messa in latino, col motu proprio “Summorum Pontificum” , ma chi oggi siede sul soglio di San Pietro ha deciso di prendere la direzione opposta, col nuovo motu proprio “Traditionis custodes”.

Quest’ultimo stabilisce che la messa in latino sia autorizzata solo dai vescovi, che sia vietata l’erezione di nuove parrocchie personali adibite a questo scopo, che siano indicate chiese non parrocchiali per questo tipo di liturgia e che sia designato un sacerdote esperto di latino e del rito.

Il sacerdote sarà addetto alla cura spirituale dei gruppi che seguono la messa in latino.

Non si potranno più costituire altri gruppi simili.

In poche parole, sembra che si voglia limitare la messa in latino, fino a farla sparire del tutto.

Si pensa di attirare nuovi fedeli con certe aperture ma la realtà è ben diversa.

Infatti, chi è lontano dalla Chiesa non si avvicina ad essa e molti fedeli scappano.

Tengo a ricordare che proprio nei Paesi anglosassoni e protestanti, in passato, le conversioni al cattolicesimo avvenivano perché le Chiese protestanti erano prese dalla smania del progressismo.

A causa di questa nuova politica ecclesiastica del Vaticano si rischia di vanificare tutto l’operato di evangelizzazione fatto in Paesi come gli Stati Uniti d’America e si rischia di condannare la Chiesa all’irrilevanza anche nei Paesi cattolici.

I dati sembrano confermare questa triste tendenza.

Dunque, per certi versi, Tolkien fu un “profeta” perché capì l’andazzo.

Chi è capace di comprendere…comprenda.

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