La poesia mal interpretata

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Sto notando che sempre più spesso la poesia è mal interpretata e che la si critica per i termini scritti, senza la comprensione del senso più intrinseco.

Ho discusso di ciò con una mia amica, la quale scrive poesie come me.

Oggi, la poesia non è capita.

Anche quando la si legge, ci si ferma solo ai termini, i quali sono letti così come sono, senza andare oltre ciò che si legge.

Per esempio, la mia poesia intitolata “Satan maledictus” non parla bene del Maligno.

Non è certo un inno a Satana.

Anzi, è una poesia contro il diavolo.

Non sono mica un satanista.

Anzi, sono un cattolico praticante.

Eppure, c’è stato chi mi ha contestato l’opera.

Perché mai non si dovrebbe nominare il diavolo?

Certamente, anche una larga parte degli uomini della Chiesa di oggi ha smesso di nominare il diavolo e ha anche perso quello che è il senso del peccato, in nome di un concetto errato di misericordia.

Però, noi cattolici ne ammettiamo l’esistenza, come nemico dell’umanità e causa di tutti i mali.

Il diavolo esiste e non nominarlo non lo fa sparire.

Anzi, non nominarlo significa fargli un grosso favore.

Tra l’altro, un’altra poesia intitolata “Vade Retro” e pubblicata sulla rivista “La Civetta” fu contestata per lo stesso motivo.

Altri mi contestano il fatto che io scriva in maccheronico-siciliano.

Io scrivo così perché mi sento di scrivere così.

La poesia, infatti, è qualcosa di individuale e di personale e riflette esattamente ciò che è l’autore.

Per esempio, io non potrei mai declamare una lirica della mia amica Eleonora Serra nello stesso modo nel quale la declama lei.

La poesia di Eleonora rappresenta Eleonora.

Essa riflette ciò che passa per la testa di Eleonora.

Lo stesso dicasi per le opere in dialetto mantovano di Wainer Mazza.

Sebbene sia nato a Mantova e risieda a Roncoferraro, in Provincia di Mantova, io non mi sento pienamente roncoferrarese e mantovano.

Per contro, anche Eleonora Serra e Wainer Mazza avrebbero qualche problema con le mie poesie.

Purtroppo, sto notando che in questo mondo sta prendendo piede sempre di più il materialismo.

Questa è la realtà dei fatti.

Per esempio, si pubblicano delle poesie sul gatto della vicina di casa o sul risotto alla pilota (tipico piatto della mia zona) che sembrano più delle filastrocche o (peggio) delle tiritere.

Questa non è poesia.

Infatti, scrivere poesie significa dover scavare nel profondo del proprio animo e fare una seria ricerca.

La poesia è anche introspezione, qualcosa che parte da dentro.

Per poter scrivere delle poesie vere ci si deve guardare dentro.

Per esempio, prendete le poesie di John Keats (1795-23 febbraio 1821).

Questo è il testo della sua ultima lettera, la quale è datata 30 novembre 1820:

Scrivere una lettera è per me la cosa più difficile del mondo. Lo stomaco continua a farmi male, e sto ancora peggio se apro un libro – e tuttavia sto meglio di quando ero in quarantena. E poi ho paura di dover fare i conti con i vantaggi e gli svantaggi di quel che mi interessava in Inghilterra. Ho la sensazione continua che la mia vita reale sia già passata, e di star quindi conducendo un’esistenza postuma“.

Ancora oggi, queste parole trasmettono l’angoscia di un ragazzo che stava morendo e che era conscio di ciò.

Keats (la cui tomba è nel Cimitero Acattolico di Roma) era un vero poeta.

Io provo ad essere un poeta.

Riuscirò nel mio intento?

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